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Licenziamenti: la procedura conciliativa con rito Fornero.

06/12/2020

In caso di licenziamento, individuale o collettivo, le parti devono seguire precise procedure affinché questo possa essere ritenuto valido. Nell’articolo si esamina il licenziamento individuale per giustificato motivo, con particolare riferimento al rito Fornero.

Il licenziamento

Il licenziamento è un atto unilaterale posto in essere dal datore di lavoro, per mezzo del quale comunica al lavoratore la volontà di recedere dal rapporto in essere. Di regola è connesso a comportamenti scorretti del dipendente o a problematiche relative all’attività produttiva od organizzativa dell’azienda.

La procedura varia in relazione al tipo di licenziamento messo in atto dal datore di lavoro, e deve rispettare quanto contenuto nelle Norme. Il legislatore ha previsto tre forme di licenziamento individuale:

  • per giusta causa,
  • per giustificato motivo soggettivo,
  • per giustificato motivo oggettivo.

È utile ricordare che, in caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato il licenziamento può avvenire per giusta causa o per giustificato motivo (oggettivo o soggettivo), mentre in caso di contratto di lavoro a tempo determinato il licenziamento può avvenire solo per giusta causa.

Licenziamento per giusta causa

Il licenziamento “ad nutum”, ovvero il licenziamento per giusta causa, si verifica quando il lavoratore mette in atto un grave comportamento tale da ledere il vincolo fiduciario con il datore di lavoro. La principale peculiarità del licenziamento per giusta causa è rappresentata dalla mancanza dell’obbligo in capo al datore di lavoro di riconoscere il periodo di preavviso al dipendente. Ciò in relazione alla gravità del comportamento che non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro nemmeno in via provvisoria.

Licenziamento per giustificato motivo soggettivo

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è messo in atto dal datore di lavoro a seguito di una procedura di contestazione disciplinare causata da un inadempimento del lavoratore. Poiché meno grave rispetto al licenziamento per giusta causa, tale mancanza permette la prosecuzione provvisoria del rapporto di lavoro, e il conseguente riconoscimento del periodo di preavviso.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è determinato, in base all’art. 3 della Legge 604 del 15/06/1966, da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

Facendo riferimento all’art. 41 della Costituzione che garantisce e tutela la libertà dell’iniziativa economica privata, il datore di lavoro può ricorrere a questa forma di licenziamento nel caso in cui la sopravvivenza della propria attività sia a rischio, oppure  quando la specifica posizione occupata dal lavoratore non abbia più ragione di esistere nell’organico aziendale. In merito a questo principio, un giudice può solamente verificare la sussistenza e la fondatezza delle ragioni che hanno portato al licenziamento, ma non può mettere in discussione i metodi e i criteri usati dall’imprenditore nella gestione della propria attività economica.

Si può concludere che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo può essere intimato non soltanto in presenza di una crisi aziendale, ma anche quando la riorganizzazione dell’attività produttiva implica la riduzione della forza lavoro.

Al licenziamento per giustificato motivo oggettivo si può ricorrere anche in caso di crisi aziendale. Nulla importa se tale crisi è causata da condizioni economiche internazionali, nazionali o specifiche del settore come la riduzione delle commesse con conseguente riduzione del fatturato.

Il licenziamento dev’essere comunicato al lavoratore interessato in forma scritta, pena nullità, indicando i motivi che l’hanno causato. In base all’art. 5 della Legge 604 del 1966, l’onere di provare la sussistenza dei motivi indicati nella lettera di licenziamento spetta al datore di lavoro, il quale deve anche dimostrare che il lavoratore interessato dal licenziamento non può essere collocato diversamente, il cosiddetto obbligo di “repêchage”.

Indennità di preavviso

In presenza di licenziamento o dimissioni, il recedente, cioè chi determina l’estinzione del contratto, deve riconoscere alla controparte un termine di preavviso stabilito dalla contrattazione collettiva in base alla qualifica ed anzianità del lavoratore. In caso di mancato preavviso, è dovuta dal recedente un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe stata percepita dal lavoratore per tale periodo.

Il recesso dal contratto di lavoro senza l’obbligo dell’osservanza del termine di preavviso si registra soltanto nel caso in cui si verifichi una causa che non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro nemmeno in forma provvisoria.

Rito Fornero

La procedura conciliativa nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, prevista dalla riforma Fornero (Legge 92 del 28/06/2012), obbliga Il datore di lavoro a comunicare ai soggetti interessati l’intenzione di voler procedere al licenziamento indicandone i motivi e le misure di assistenza e ricollocazione prese nei confronti del lavoratore interessato.

Alla luce delle modifiche apportate dalla Legge Fornero, in caso di licenziamento da parte di un datore di lavoro che occupa più di 15 dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015 (non con il Job Act), il licenziamento dev’essere preceduto da una comunicazione effettuata all’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) competente e per conoscenza al lavoratore.

L’Ispettorato territoriale del lavoro entro il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione della comunicazione, deve convocare il datore di lavoro ed il lavoratore per esaminare soluzioni alternative al licenziamento. In costanza dell’incontro presso la Direzione territoriale del lavoro, le parti si possono avvalere dell’assistenza di professionisti o di organizzazioni di rappresentanza.

L’intera procedura di conciliazione si deve concludere nel termine di 20 giorni dalla data di comunicazione dell’incontro da parte dell’Ispettorato. Se il tentativo di conciliazione ha esito positivo, si redige un apposito verbale e il lavoratore acquisisce il diritto a percepire la NASPI. Se invece il tentativo fallisce, oppure l’Ispettorato non fa pervenire la comunicazione dell’incontro nel termine dei 7 giorni previsti dalla legge, il datore di lavoro può procedere al licenziamento. Il lavoratore può comunque impugnare il licenziamento entro 60 giorni dalla ricezione e depositare entro 180 giorni l’eventuale ricorso.

Il licenziamento decorre dalla data di comunicazione fatta dal datore di lavoro alla ITL. Il periodo lavorato in attesa dell’incontro o in costanza della procedura di conciliazione, è da considerarsi come preavviso lavorato.

La sopra descritta procedura di conciliazione si può sospendere per un massimo di 15 giorni solo nel caso in cui il lavoratore dimostra la sua impossibilità a partecipare all’incontro.

Conseguenze licenziamento illegittimo o nullo

In base alla Legge Fornero come modificata dal D. Lgs 81/2015, nel caso in cui il licenziamento è stato dichiarato illegittimo, il regime sanzionatorio imposto al datore di lavoro varia in base al numero dei dipendenti.

Se il datore di lavoro occupa meno di 15 dipendenti (oppure meno di 5 nel settore agricolo), il regime sanzionatorio prevede la possibilità di scegliere tra il reintegro del lavoratore o il risarcimento del danno, variabile da un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità. Lo stesso regime sanzionatorio può essere applicato anche al datore di lavoro che non abbia avviato la procedura di conciliazione, oppure non abbia partecipato attivamente all’incontro destinato a trovare soluzioni alterative al licenziamento.

Se invece il datore di lavoro occupa più di 15 dipendenti (oppure più di 5 nel settore agricolo) il regime sanzionatorio si sdoppia in base alla decisione finale del giudice.

In caso di licenziamento nullo e insussistente, il datore di lavoro è obbligato a reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato e a pagare il risarcimento del danno. L’importo sarà commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto maturata per il periodo che va dal giorno del licenziamento sino alla data della reintegrazione, meno quanto eventualmente percepito a seguito di altre attività svolte. Il numero di mensilità da corrispondere varia da un minimo di 5 a un massimo di 12. Il lavoratore può comunque decidere di rinunciare al reintegro e chiedere un’indennità pari a 15 mensilità.

In caso di licenziamento illegittimo ma non insussistente, il datore di lavoro non sarà costretto alla reintegra ma dovrà soltanto pagare un’indennità che varia da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità. Il numero delle mensilità è deciso dal giudice tenendo conto di vari fattori quali l’anzianità del lavoratore, le dimensioni dell’azienda, il comportamento e le condizioni delle parti.

In quest’ultimo caso l’indennità riconosciuta al lavoratore sarà decurtata dal giudice dell’importo corrispondente alle somme percepite dal lavoratore a seguito di altra attività o da quanto avrebbe percepito se si fosse dedicato con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.

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© 2020 | MIRELLA MUSAT – p.iva 11927420015

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