Alla cessazione di un rapporto di lavoro in capo al datore di lavoro sorgono diversi obblighi e adempimenti, come ad esempio la comunicazione obbligatoria di cessazione e l’erogazione del trattamento di fine rapporto.
Sommario
La cessazione del rapporto di lavoro
La cessazione del rapporto di lavoro può essere determinata da diverse cause. Alcuni motivi di cessazione sono la scadenza del termine in caso di contratto di lavoro a tempo determinato, le dimissioni, il licenziamento, la chiusura dell’attività, ecc.
In tutti i casi d’interruzione del rapporto di lavoro la legge prevede specifici adempimenti in capo al datore di lavoro. Uno di questi è la comunicazione obbligatoria di cessazione, che dev’essere trasmessa telematicamente al centro per l’impiego entro il termine perentorio di cinque giorni dalla cessazione.
Le dimissioni
Le dimissioni sono un atto unilaterale del lavoratore al quale il datore di lavoro non può opporsi. Uno degli obblighi imposti dalla legge al lavoratore dimissionario consiste nel rispetto del termine di preavviso. Tale termine è stabilito dai contratti collettivi e varia in base alla qualifica e all’anzianità del dipendente.
A partire dal 12 marzo 2016 il prestatore che intende recedere volontariamente dal rapporto di lavoro deve trasmettere in via telematica al Ministero del lavoro la comunicazione di dimissioni.
Il Licenziamento
L’istituto del licenziamento è molto limitativo per il datore di lavoro. Ai sensi dell’art. 2119 del Codice Civile non si può recedere da un contratto a tempo indeterminato, oppure prima della scadenza in caso di rapporto di lavoro a tempo determinato, se non in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo.
Il preavviso
Ai sensi dell’art.2118 del Codice Civile in caso di recesso a seguito di licenziamento, il dipendente ha diritto a un termine di preavviso stabilito dai contratti collettivi in base alla sua anzianità e qualifica. Tale periodo dev’essere riconosciuto quando s’interrompe un contratto a tempo indeterminato o un rapporto a tempo determinato prima della sua scadenza. In caso di mancato preavviso, il datore di lavoro è tenuto al versamento di una indennità equivalente all’importo della retribuzione che avrebbe percepito il lavoratore se avesse prestato servizio per tale periodo.
L’indennità sopra descritta dev’essere calcolata computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti nonché tutti quei compensi che avevano carattere continuativo nella retribuzione del lavoratore. L’indennità del mancato preavviso è dovuta dal datore di lavoro al dipendente anche in caso di dimissioni per giusta causa oppure in caso di morte del lavoratore. In quest’ultima ipotesi l’indennità sarà corrisposta ai suoi familiari oppure ai suoi legittimi eredi.
Il contributo di licenziamento
Un altro obbligo che deve osservare il datore di lavoro quando interrompe un rapporto a tempo indeterminato è il versamento del contributo di licenziamento NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego). Questo contributo è pari al 41% del massimale mensile di NASPI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale del lavoratore negli ultimi tre anni.
In pratica per un lavoratore che ha un’anzianità di un anno verrà versato solo il 41% di una mensilità. Nel caso in cui il lavoratore abbia già maturato due anni di anzianità al momento dell’interruzione del rapporto si dovrà versare il 41% di due mensilità, mentre con un’anzianità di tre anni o superiore, il datore di lavoro è tenuto al versamento del 41% di tre mensilità. In caso di cessazione di rapporti di lavoro per cambi di appalto, tale contributo una tantum non è dovuto quando i lavoratori sono stati ricollocati presso altri datori di lavoro.
Il trattamento di fine rapporto
Ai sensi dell’art. 2120 del Codice Civile, al momento della cessazione di un rapporto di lavoro, indipendentemente dal motivo che ha portato alla sua interruzione, il datore di lavoro è obbligato a versare al lavoratore il TFR (trattamento di fine rapporto). Ovviamente il datore di lavoro non è obbligato alla corresponsione del trattamento di fine rapporto se il lavoratore ha destinato il proprio TFR ad una forma di previdenza complementare. In caso di anticipo sul TFR ricevuto dal lavoratore nel corso della sua prestazione lavorativa, dall’importo finale sarà decurtata la somma già percepita.
Il trattamento di fine rapporto si calcola sommando per ogni anno di anzianità una quota pari alla retribuzione dovuta per l’anno in corso divisa per 13,5. Per i mesi in cui la prestazione lavorativa non supera i 15 giorni la quota del TFR non viene maturata. Ogni 31 dicembre la quota maturata del TFR viene incrementata rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente tramite l’applicazione del tasso dell’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie. Per le quote maturate nell’anno si applica il tasso di rivalutazione registrato dall’ISTAT nel mese di cessazione del rapporto di lavoro.
In base all’art. 2124 del codice civile, l’imprenditore alla cessazione del rapporto di lavoro deve rilasciare al lavoratore un certificato contenente l’elenco delle mansioni svolte e la durata del contratto.
Il patto di non concorrenza
Il datore di lavoro può stipulare con il lavoratore un patto di non concorrenza. Attraverso tale patto si limita lo svolgimento di attività lavorativa futura del lavoratore. L’atto per essere valido deve rispettare due requisiti fondamentali: la forma scritta e il riconoscimento di un corrispettivo adeguato al dipendente. Tale patto non può avere una durata superiore a tre anni, che diventano cinque per i dirigenti.